sabato 3 marzo 2012

considerazioni sui progetti VSQ e Vales (valutazione del sistema scolastico)


Sono in corso 2 sperimentazioni ministeriali sulla valutazione scolastica, il VSQ, partito l’anno scorso in epoca gelminiana, e il Vales, che dovrebbe partire quest’anno (termine per l’adesione delle 300 scuole entro il 12 marzo).
Il progetto Vales ha avuto, sulle bozze della sua presentazione, più consensi che critiche, anche per la decisione di non condizionare l’erogazione dei fondi ai risultati di ranking tra le varie scuole coinvolte. In realtà, leggendo le circolari istitutive delle due sperimentazioni, le differenze sono minime, sostanzialmente ininfluenti sull’impostazione generale, figlia della legge 150 (cosiddetta Brunetta), ispirate ad una visione anglosassone della valutazione di sistema.
Entrambi i progetti prevedono una valutazione totalmente esterna:
1. rilevazione degli apprendimenti attraverso le prove Invalsi (italiano e matematica), con valore aggiunto contestualizzato
2. valutazione di un team di esterni, coordinati da ispettori e formati dall’Invalsi, che, utilizzando degli indicatori (non ancora noti), definiranno il livello scolastico
3. indicazione da parte del team di obiettivi di miglioramento, più o meno grandi a seconda di quanto l’istituto sia da correggere; in base alla gravità, si daranno fondi (10 mila o 20 mila €); differenza: nel Vales i fondi sono per tutti, nel VSQ vanno solo ai più bravi
4. gli istituti, in autonomia, usufruendo dell’Indire e delle università, faranno i compiti
5. il team torna per verificare se i compiti assegnati sono stati svolti; gli esiti della valutazione saranno pubblicati e consultabili da tutti (trasparenza)
Manca il seguito: cosa succederà a chi i compiti li fa male o non li fa? Il progetto non dice, ma proviamo a fare una ipotesi plausibile. E’ esattamente il sistema anglosassone di valutazione di sistema: calcolo degli apprendimenti, rilevazione delle incongruità, obiettivi da conseguire, verifica; il tutto fatto sempre da valutatori esterni; in Gran Bretagna e negli Usa, le scuole che non raggiungono gli obiettivi fissati dai valutatori, prima vengono penalizzate economicamente, poi si rimuove il dirigente, al terzo anno vengono chiuse con licenziamento di tutto il personale. C’è poco da scherzare.
Analizziamo i vari punti:
1. valutare gli apprendimenti con prove standardizzate, è ormai acclarato, da una letteratura scientifica sconfinata (soprattutto anglosassone, perché lì le ricerche le fanno), che è controproducente  e dannoso: il fenomeno del “teach to test”, addestrare al test, è l’effetto più comune: si impoverisce la didattica, le stesse competenze sottese non sono spesso favorite, gli aspetti più critici ed elaborati degli apprendimenti sono trascurati, non c’è attenzione alla individualizzazione dei percorsi ecc. (per chi volesse riferimenti di pubblicazioni sul tema, quasi tutte in lingua inglese, può chiederlo). Inoltre, in Italia l’aggravante è anche nelle competenze e nelle materie testate; alcune competenze di base di italiano e matematica. Ai diveersi licei, per capirci, non ci sarebbe NESSUNA considerazione per le lingue al linguistico, per latino e greco al classico, per la stessa matematica allo scientifico (i test sono uniformi per tutti gli ordini di scuola) ecc.; se la valutazione “oggettiva(?)” degli apprendimenti considera SOLO questi ambiti, tutte le altre discipline, di indirizzo e non, non conterebbero nulla. Quale effetto distorsivo si genererebbe, è intuitivo. Ovviamente anche altre tipologie di verifica e di competenze da sviluppare, sarebbero una “perdita di tempo”: il 90% del nostro lavoro sarebbe ininfluente per determinare ciò che i nostri studenti imparano a scuola.
2. il team esterno, gli “omini col ditino alzato”, che verrebbero a giudicarci. Chi sono? Propendo per qualche funzionario della burocrazia ministeriale, formati dall’Invalsi (magari con una ventina di ore “blendend”), un ente di una quarantina di dipendenti, oltre metà dei quali precari, commissariato (Cipollone, il presidente, si è dimesso l’anno scorso): costoro verrebbero a giudicare noi, cioè un gruppo di specializzati, che mangia pane e scuola da venti-trenta anni, con esperienze spesso notevolissime, con progetti gestiti e costruiti di livello eccelso: da noi penso sia il caso che costoro (anche l’invalsi) vengano anche ad imparare qualcosa, prima di “alzare il ditino”. Al di là della presunzione e dell’orgoglio (certo che possiamo sempre imparare, ma da qualcuno che può insegnarci: ce ne sono, ma certo non chiunque…), le scuole sono OGGETTO della valutazione, tutta esterna, senza avere la possibilità di essere protagonisti del sistema di valutazione stesso: questo vedremo ha degli effetti molto gravi in una istituzione dove si è chiamati ad esprimere, dalla stessa Costituzione, la propria autonomia e criticità.
3. “Gli omini dal ditino alzato” ci daranno gli obiettivi:
4. ora finalmente diventiamo protagonisti: di scegliere come fare i compiti, a chi rivolgerci ecc. Troppo buoni.
5. “Gli omini col ditino alzato” tornano a verificare se siamo stati bravi, altrimenti …
Altrimenti, temo la deriva anglosassone: questo sistema da lì viene, alla premialità si ispira, quindi…
I risultati verranno resi pubblici; anche se il Vales, al contrario del VSQ, non fa classifiche, esse sono di facile compilazione quando l’utenza vedrà i risultati che avremmo conseguito.
Metto in guardia dagli effetti che questa proposta può avere sulla scuola, e avrebbe in ogni settore che ha a che fare con i servizi pubblici essenziali (compresi forze dell’ordine, vigili del fuoco, ma per loro, chissà perché, non propongono il ranking; aggiungerei anche sanità, ma ormai è tardi, l’hanno già devastata), e che sulla autonomia si fondano, come garanzia per i cittadini (in questo caso soprattutto scuola e magistratura).
Il meccanismo di valutazione proposto tende alla verticalizzazione, al verticismo, alla subordinazione e alla forte limitazione dell’autonomia, puntando verso “l’impiegatizzazione” della professione, alla subordinazione esecutiva del ruolo. Il fine di chi propone questi metodi è esplicitamente questo, per i docenti e per i giudici.
Questo richiamo ha forte presa sull’opinione pubblica, poco consapevole di cosa significhi un sistema dell’istruzione dove l’autonomia e le libertà espressive, in tutte le forme, culturali e di pensiero, rappresentano la premessa fondamentale della formazione critica e libera degli studenti: un insegnante non libero, non può insegnare la libertà, non è credibile.
Questa autonomia ha un prezzo, che è dato dal cattivo uso che qualcuno ne fa, dall’arbitrio che a volte emerge: è un prezzo inevitabile, che va tendenzialmente corretto; ma prendere questi casi per togliere l’autonomia, di fatto e di diritto, darebbe un misero vantaggio: docili “impiegati” esecutori, ma una formazione civile, culturale e scientifica, limitata e impoverita.
La limitazione dell’espressione sarebbe la regola nelle valutazioni solo esterne, verticali (dall’alto verso il basso), senza potenti correzioni orizzontali: determinano, volutamente, l’adeguamento alle direttive (sotto forma di criteri), che bisogna rispettare per non chiudere.
Unite a questo le circolari di alcuni direttori regionali, nelle quali si intima a TUTTO il personale, dai presidi agli ata e ai docenti, di non fare dichiarazioni/affermazioni che possono ledere l’immagine del loro datore di lavoro, il Miur (e Gelmini): altro che libera espressione, ci sono presidi e docenti sotto provvedimento disciplinare per affermazioni sugli effetti negativi dei tagli della cosiddetta riforma. L’intento di subordinare il personale scolastico, compresi i docenti, è palese.
Corre voce che la valutazione di sistema c’è dovunque, come le prove standardizzate: non si dice però come sono, a quali fini tendono e dove sono: c’è una varietà sconcertante, noi copiamo dai sistemi inglese e americano, non da quello tedesco o francese, finlandese o spagnolo ecc: l’ideologia che si vuole auto validare.
Anche l'idea che non vogliamo essere valutati per "fare come ci pare è ricorrente", da parte degli “scimmiottatori” anglosassoni: un po’ di respiro e, in una seconda parte, proverò a delineare un profilo constuens.
Mario Secone

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